Malattie rare del sangue: sostieni la ricerca | AIL onlus
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Tra i progetti di ricerca sulle malattie rare del sangue che sono stati finanziati grazie al vostro aiuto c’è lo studio NP22-382 della Fondazione GIMEMA, che ha l'obiettivo di caratterizzare da un punto di vista biologico i pazienti con piastrinopenia immune primitiva (ITP) con un duplice obiettivo: 1. documentare alcune eterogeneità biologiche che possano giustificare la diversa presentazione della malattia e la diversa risposta alla terapia di prima linea; 2. identificare dei biomarcatori predittivi di risposta al trattamento.
Abbiamo intervistato la Dottoressa Elisa Lucchini che opera presso l’Ematologia dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina di Trieste diretta dal Prof. Francesco Zaja, responsabile di questo progetto, che è partito lo scorso autunno arruolando 200 pazienti di diversi centri in Italia, per una durata di tre anni.
Cosa è la Piastrinopenia Immune e quanti pazienti sono interessati da questa patologia?
Parliamo di una malattia provocata da una disfunzione del nostro sistema immunitario che, per motivi ancora non noti, attacca le piastrine, una componente del sangue prodotta dal midollo osseo e fondamentale per la coagulazione. Questo attacco si traduce in una prematura distruzione delle piastrine che quindi calano nella circolazione con conseguente aumento del rischio di sanguinamenti. La piastrinopenia diventa pericolosa, ed è quindi necessario avviare un trattamento, quando il valore delle piastrine, che normalmente è intono alle 150.000/mm3, scende al di sotto di 20-30.000/mmc.
È una malattia che colpisce sia bambini che adulti, sia maschi che femmine e l’incidenza non è ben nota, si stima che possa interessare circa 2-3 persone su 100.000 abitanti per anno.
Quali sono gli obiettivi dello studio di cui lei è referente e quali sono le applicazioni per i pazienti?
La Piastrinopenia Immune è una malattia molto eterogenea in termini di presentazione clinica, decorso e di risposta al trattamento, e molti aspetti biologici risultano ancora non completamente chiariti. Sembra infatti che sotto la patologia “Piastrinopenia Immune” siano raggruppate diverse entità di tipo biologico tutte accumunate da un’attivazione non corretta del sistema immunitario contro le piastrine. Ad oggi abbiamo a disposizione numerose terapie che vanno ad interferire con diversi meccanismi patogenetici della malattia, tuttavia non disponiamo di molti elementi che guidino una scelta biologicamente razionale della terapia, a seconda della tipologia di paziente.
L’obiettivo di questo studio è quindi quello di comprendere meglio la biologia della malattia per riuscire a capire cosa differenzia un paziente da un altro e quindi, in futuro, in base a questo dato, riuscire a tarare i diversi trattamenti in maniera più personalizzata. Si partirà dunque da un gruppo di pazienti con diagnosi di Piastrinopenia Immune che necessita di essere avviato per la prima volta ad una terapia, in modo tale da “fotografare” le anomalie del sistema immunitario prima che eventuali trattamenti possano aver alterato il quadro. I soggetti verranno quindi seguiti in maniera prospettica per una durata di tre anni. Le stesse indagini biologiche, eseguite in gran parte presso il Laboratorio dell’Ospedale di Trieste, verranno ripetute a distanza di tempo, per capire come questo quadro si modifica in chi risponde e non ai vari trattamenti.
La prima linea di trattamento è rappresentata dalla terapia steroidea, che può accompagnarsi o meno alla somministrazione di immunoglobuline endovena. Questa terapia è molto efficace nell’immediato, perché fino all’80% dei soggetti risponde positivamente, ma poi nella maggior parte dei casi la risposta si perde e soltanto un 20-30% di persone risultano guarite senza necessità di ulteriori trattamenti.
Per la maggioranza dei pazienti, che non rispondono o ricadono dopo la terapia steroidea, si apre un vasto scenario di opportunità terapeutiche di seconda o terza linea, con due grandi categorie di farmaci: gli immunosoppressori, che agiscono sopprimendo l’attività del sistema immunitario, e i TPO-mimetici, che stimolano il midollo a produrre più piastrine, in modo tale da sormontare la distruzione periferica. C’è poi anche la rimozione chirurgica della milza, la sede in cui vengono distrutte le piastrine, riservato però a chi ha una malattia cronica e ha fallito altre linee di trattamento. Inoltre, negli ultimi anni stanno emergendo una serie di terapie “mirate”, che vanno ad interferire con specifici bersagli molecolari, e diversi meccanismi patogenetici: inibitori della fagocitosi, del complemento, farmaci diretti contro le plasmacellule, i linfociti B, alcuni dei quali già in commercio.
A fronte di questo ampio armamentario terapeutico, non disponiamo di elementi che ci guidino a scegliere una via piuttosto che un’altra, ed è proprio per questo motivo che nascono gli studi come quello del GIMEMA.
Perché è importante il sostegno di associazioni come AIL per far crescere la ricerca, in particolare sulle malattie rare come la piastrinopenia?
Le malattie ematologiche rappresentano un campo in continua evoluzione e negli ultimi anni si è assistito all’avvento di numerosi nuovi farmaci che hanno cambiato concretamente le prospettive e la qualità di vita dei pazienti. E questo è stato possibile solo grazie alla ricerca e al contributo di associazioni come AIL. Malattie come la Piastrinopenia Immune sono rare ma impattanti sulla vita dei pazienti ed approfondirne la loro conoscenza ci permette di arrivare ad una terapia sempre più personalizzata. La ricerca deve continuare a lavorare proprio per cambiare la vita di molte persone che ancora oggi aspettano una risposta definitiva per la loro patologia.
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