La storia di Eleonora
Ho scoperto di avere un linfoma di Hodgkin IV stadio nel giugno del 2008, casualmente, come penso molti di noi. Stavo passando un periodo difficile e continuavo a dimagrire, finché un linfonodo è diventato “molto” evidente. I passi sono noti: la biopsia, la diagnosi e poi l’inizio del lungo percorso. Una delle persone a me più care, Rosa, aveva affrontato un linfoma di Non-Hodgkin solo qualche mese prima e la strada mi era dolorosamente nota. Ho visto la sua forza e la sua determinazione e ho cercato di trovarla anche dentro di me. I mesi della terapia, detta “ABVD”, sono stati lunghi e tempestosi, per via delle complicazioni, dell’accesso venoso, dei dolori, ma la vita andava avanti, ho voluto fortemente continuare a lavorare, a cercare di vivere, per quanto potevo, nella normalità. La malattia è una parte della vita, fa parte di essa e può essere uno strumento per farci capire meglio noi stessi. Ti costringe a guardarti dentro, ad ascoltare il tuo corpo, a mettere un freno a mille inutili corse, a rapporti superficiali, finiti o falsi, al sentirsi indispensabili al lavoro, al correre senza fermarsi mai. C’è del positivo nella malattia, un lato positivo che molti dei pazienti hanno difficoltà nel riconoscere ed accettare. Ma per me riuscire ad andare oltre il dolore fisico, i cambiamenti del corpo, gli sguardi di curiosità o di pietà, le parole vuote di chi non capisce e non capirà mai è stata la molla che mi ha fatto superare i momenti più duri. Salvarsi la vita è un lavoro - scriveva Sannucci nel suo libro su un’esperienza analoga - bisogna tenere il passo ai mille appuntamenti, alle file, alle esenzioni, alle medicine, alle terapie…..è un lavoro stressante e non retribuito se non dall’essere ancora vivi e poter godere anche solo di una nuova passeggiata a Villa Torlonia, che da via Benevento è così vicina e ci ha spesso donato momenti di relax e di svago, tra la visita e la chemioterapia.
A gennaio, quando pensavo di poter finalmente mettere la parola fine a questa esperienza, mi è stato comunicato che il linfoma era diventato aggressivo e ho dovuto, così, iniziare da capo un percorso fisico e mentale ancora più difficile, una chemioterapia più forte, la raccolta delle cellule staminali e poi l’autotrapianto. Ero preparata alla notizia, sapevo che poteva succedere e nelle lunghe ora passate in sala d’attesa avevo stretto amicizia con persone a cui era accaduto. Ho deciso, allora, di fidarmi pienamente dei medici e di seguire ogni loro indicazione con la certezza di uscirne. Se c’è una cosa che ho imparato è che bisogna fidarsi di un referente, di una struttura e non è salutare sprecare energie nella ricerca di informazioni, di luminari in giro per l’Italia. Certo, bisogna essere vigili ed attenti durante le terapie, durante le visite, aiutare i medici e gli infermieri a considerare la nostra storia, bisogna fare sempre le analisi, le lastre, le tac, le Pet; è necessario leggere attentamente il consenso informato e non dimenticare di comunicare ogni piccolo cambiamento, ogni sensazione, il proprio vissuto clinico. Bisogna avere una pazienza infinita durante le lunghissime ore di attesa, durante le terapie, pazienza per i momenti di confusione, nei confronti di altri “colleghi” che ti parlano quando vorresti solo il silenzio e di quelli che invece non ti ascoltano quando avresti bisogno di parlare……ma le energie è fondamentale tenerle per essere centrati e forti. E chi è vicino al malato dovrebbe sempre evitare di manifestare dubbi o angosce sul percorso intrapreso, non fanno che accrescere l’ansia.
E’ basilare percepire subito l’importanza degli affetti ed individuare le persone sulle quali potremo contare sempre. I familiari, gli amici sono più importanti delle medicine. Il mio compagno insieme a mio fratello e Vilma, Rosa, Zia Anna, Chiara, Diana, Anita e numerosi altri hanno reso ogni mio giorno leggero e sopportabile, ogni mio capriccio una necessità, ogni mio cambio d’umore “cortisonico” una risata allegra. Hanno rispettato la mia voglia di stare sola a dormire come quella di mangiare tutte le cose “proibite” in quel momento, hanno creduto sempre che io ce l’avrei fatta e di questo hanno convinto anche me. Mi hanno sempre accompagnata e sono rimasti ore ed ore ad aspettare fuori, per farmi trovare un sorriso all’uscita.
Ho immediatamente capito che il più delle volte gli infermieri sono angeli ed amici, confidenti e punti di riferimento indispensabili; loro mi hanno conosciuta, mi hanno capita e non mi hanno mai abbandonata….Ho apprezzato la forza dei volontari AIL, la loro compagnia: persone che vi daranno le informazioni necessarie, vi aiuteranno e consoleranno per quanto gli sarà possibile e per quanto ognuno di voi gliene darà l’opportunità.
E’ stato importante il rapporto con i miei medici - prima tra tutti la Dott.ssa Elena Cavalieri – che hanno condiviso e sopportato con me le ansie, i dubbi, la rabbia, perché c’è anche quella ed è una rabbia “sana” e costruttiva. Ed ora sono qui, con i capelli, con una nuova vita, una nuova forza. Sono qui a dirvi che se il linfoma è un tumore è anche una possibilità, se ci ha scelti è perché noi siamo in grado di vincerlo e saremo persone nuove, più forti, siamo dei sopravvissuti ad una battaglia che non lascia feriti. Vorrei trasmettere il fatto che sono consapevole di tutto ciò che la malattia mi ha portato via, il tempo, la bellezza, la visione ampia di un futuro, ma anche di tutto ciò che mi ha regalato. Ora conosco la mia forza e valuto le priorità. Sono una persona migliore e sono felice di essere viva.
Eleonora
Storie di combattenti