Il trapianto Allogenico: Compatibilità e donatori
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE) consiste nella reinfusione di CSE di un donatore (il soggetto sano) in un ricevente (il soggetto malato) dopo che il ricevente è stato “condizionato”, cioè preparato con la somministrazione di chemioterapia e/o radioterapia e denominata di “terapia di condizionamento”.
Indice dei contenuti
Le CSE CD34-Positive
Le CSE, note anche con il nome di cellule CD34-positive per la presenza sulla loro superficie di questa molecola distintiva, sono cellule contenute nel midollo osseo ematopoietico e, in quantità nettamente minori anche nel sangue venoso periferico. Tali cellule sono in grado di dividersi e dare origine a due cellule figlie, una che va a ricostituire il patrimonio della CSE, e l’altra, che attraverso ulteriori divisioni, darà origine alle cellule del sangue venoso periferico, cioè i globuli bianchi, i globuli rossi e le piastrine (differenziamento). Le caratteristiche fondamentali delle CSE, che ne rendono possibile l’uso clinico nel trapianto, sono rappresentate da:
capacità di automantenimento;
differenziazione in precursori dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine;
capacità dopo essere state infuse per via endovenosa, di raggiungere la sede midollare e di insediarsi nel microambiente (homing);
capacità di restare vitali dopo processi di manipolazione come la criopreservazione e lo scongelamento.
Compatibilità e Sistema HLA
Individuare un donatore di CSE idoneo per poter procedere al trapianto significa tipizzare sia donatore che ricevente, ovvero verificare, con tecniche di biologia molecolare in alta risoluzione, che le cellule dell’uno e dell’altro siano HLA compatibili, ovvero presentino gli stessi antigeni di istocompatibilità. Di conseguenza, è un prerequisito di fondamentale importanza per il successo del trapianto allogenico che sia il ricevente che il donatore abbiano un sistema HLA il più possibile simile, in modo da limitare il rischio della condizione nota come graft versus host disease (GVHD, malattia del trapianto contro l’ospite), cioè quella condizione in cui linfociti del donatore colpiscono i tessuti del ricevente, non riconoscendoli come “propri”.
I geni del sistema HLA hanno la caratteristica di essere estremamente variabili da individuo a individuo; per tale motivo, la variabilità genetica è molto elevata al di fuori dell’ambito familiare. Nell’ambito familiare ogni fratello ha una probabilità del 25% di essere HLA identico col paziente.
Tuttavia, per dare la possibilità di trovare un donatore compatibile anche a quei pazienti che non dispongono di un donatore HLA-compatibile all’interno del nucleo familiare, sono stati istituiti i registri internazionali di donatori volontari di CSE o i network di banche del sangue di cordone ombelicale (SCO).
La possibilità di ogni singolo donatore di essere compatibile con il paziente è infinitesimale, ma essendo i donatori nel registro mondiale molti milioni, la maggioranza dei pazienti riesce a trovarne uno HLA-compatibile.
Nell’ultimo decennio, è diventata concreta la possibilità di utilizzare donatori familiari compatibili anche solo a metà (aploidentici), che possono quindi essere quindi anche i genitori o figli del paziente, oltre che metà dei fratelli. Tale possibilità ha reso molto più accessibile il trapianto anche nei casi senza un fratello HLA-identico e con difficoltà a trovare un donatore di registro disponibile.
Donatori di CSE e tipologia di trapianto allogenico
Trapianto singenico: quando il donatore è rappresentato da un gemello identico omozigote. Sono casi molto rari, in questo caso manca però l’effetto GVL.
Trapianto allogenico di CSE da donatore familiare identico: quando il donatore HLA-compatibile viene trovato all’interno del nucleo familiare del paziente (probabilità di circa il 25-30%). Nella stragrande maggioranza dei casi è il fratello/sorella del paziente.
Trapianto allogenico di CSE da donatore volontario: quando il donatore è un volontario iscritto nei registri internazionali di donatori di CSE. Il tempo per l’identificazione di un donatore volontario HLA compatibile può variare da 1 a molti mesi.
Trapianto allogenico di CSE da sangue di cordone ombelicale (SCO): quando la fonte di CSE è costituita da SCO prelevato al momento del parto da donatrici sane e accuratamente selezionate e conservato in banche di SCO. Il tempo mediano per l’identificazione è di sole 3 settimane. Tale tecnica non è però utilizzata diffusamente nei pazienti adulti.
Trapianto allogenico di CSE da familiare non identico (aploidentico): quando il donatore condivide con il paziente almeno un aplotipo (metà) del sistema HLA, condizione che è naturalmente riscontrabile nei genitori e figli del paziente e in metà dei fratelli. Il tempo mediano per la sua identificazione corrisponde ai tempi dello studio dell’HLA, cui seguono circa 10-15 giorni per la preparazione alla donazione. La scelta di questo tipo di trapianto è spesso dettata dall’urgenza clinica dello stesso, o dalla difficoltà di individuare un donatore compatibile nel registro.
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Trapianto Allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE): Indicazioni al trapianto
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE) consiste nella reinfusione di CSE di un donatore (il soggetto sano) in un ricevente (il soggetto malato) dopo che il ricevente è stato “condizionato”, cioè preparato con la somministrazione di chemioterapia e/o radioterapia e denominata di “terapia di condizionamento”.
Il trapianto Allogenico: Possibili effetti avversi
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE) consiste nella reinfusione di CSE di un donatore (il soggetto sano) in un ricevente (il soggetto malato) dopo che il ricevente è stato “condizionato”, cioè preparato con la somministrazione di chemioterapia e/o radioterapia e denominata di “terapia di condizionamento”.
Il trapianto Allogenico: Le fasi del trapianto
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE) consiste nella reinfusione di CSE di un donatore (il soggetto sano) in un ricevente (il soggetto malato) dopo che il ricevente è stato “condizionato”, cioè preparato con la somministrazione di chemioterapia e/o radioterapia e denominata di “terapia di condizionamento”.
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