Il trapianto Allogenico: Le fasi del trapianto
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE) consiste nella reinfusione di CSE di un donatore (il soggetto sano) in un ricevente (il soggetto malato) dopo che il ricevente è stato “condizionato”, cioè preparato con la somministrazione di chemioterapia e/o radioterapia e denominata di “terapia di condizionamento”.
Indice dei contenuti
Regimi di condizionamento
Il regime di condizionamento pre-trapianto consiste nella somministrazione, in un periodo di tempo variabile tra 2 e 9 giorni, di chemio ± radioterapia prima dell’infusione delle CSE al fine di raggiungere due obiettivi principali:
L’eradicazione della malattia di base sfruttando l’effetto mieloablativo di dosi sovramassimali di chemio-radioterapia, determinando la totale scomparsa del compartimento di cellule malate del paziente e di “creare spazio” alle cellule progenitrici del donatore sano.
Il superamento della barriera immunologica dell’ospite mediante l’uso di agenti chemioterapici con potente effetto immunosoppressore.
I regimi di condizionamento attualmente utilizzati per il trapianto allogenico si basano sull’uso di farmaci con azione mieloablativo (busulfano, melfalan, treosulfano), oppure sull’uso della radioterapia (total body irradiation, TBI). Tali regimi di chemioterapia sono molto intensivi e, per tale motivo, è necessaria una rigorosa selezione del paziente da sottoporre a trapianto.
Vengono oggi considerati eleggibili per un trapianto allogenico con condizionamento mieloablativo i pazienti di età inferiore ai 60-65 anni, in buone condizioni generali, con funzionalità cardiaca, renale e respiratoria conservata, che non presentino altre gravi patologie al momento del trapianto. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso, per poter estendere la procedura trapiantologica allogenica anche a pazienti non in grado di tollerare regimi di condizionamento mieloablativi, è iniziata la sperimentazione clinica di regimi di condizionamento a intensità ridotta(reduced intensity conditioning, RIC), basati sull’impiego di agenti immunosoppressivi e mielotossici a dosi non mieloablative, con conseguente minore tossicità globale. I condizionamenti RIC basano il loro potere terapeutico non tanto sull’azione citoriduttiva della chemio-radioterapia, quanto sull’effetto allogenico, immunoterapeutico del trapianto stesso, quindi sull’effetto GVL. Il trapianto allogenico con condizionamento RIC è ben tollerato e risulta ormai eseguibile anche in pazienti di età avanzata, anche oltre i 70 anni, o nei pazienti più giovani con condizioni cliniche peggiori.
Fase di ricostituzione emopoietica
L’infusione delle CSE viene effettuato di norma dopo 24-48 ore dal termine della chemioterapia di condizionamento, generalmente mediante un catetere venoso centrale. La tossicità extraematologica dei regimi di condizionamento si verifica entro i primi 15 giorni e può coinvolgere qualsiasi organo, cuore, rene, polmone, fegato e principalmente sistema gastroenterico con mucosite. Il condizionamento comporta la cosiddetta “fase di aplasia”, con abbassamento del valore dei globuli bianchi, delle piastrine e dell’emoglobina e conseguente esposizione a un elevato rischio di infezioni e di emorragie che possono essere anche fatali. L’aplasia midollare termina quando le CSE infuse proliferando maturano e si differenziano in globuli bianchi, piastrine e globuli rossi.
La durata della fase di aplasia midollare è variabile e dipende dall’intensità del condizionamento, dal numero di CSE infuse e dalla fonte di CSE e dal tipo di donatore. Alla fase di aplasia segue il cosiddetto “attecchimento”, cioè la fase di recupero ematologico con salita dei valori dei globuli bianchi e delle piastrine, che si verifica generalmente dopo 12-24 giorni dal giorno del trapianto.
Si definisce attecchimento in neutrofili e/o in piastrine il raggiungimento di valori di granulociti neutrofili superiori a 500/mmc, e di piastrine superiori a 20.000/mm3 per almeno tre giorni consecutivi. Sino al completo l’attecchimento, il paziente è a rischio di infezioni ed emorragie e quindi necessita di un controllo particolarmente accurato. Dopo la dimissione, il paziente verrà seguito in regime ambulatoriale e di day hospital con cadenza settimanale o più fino al 100mo giorno, un periodo quindi di stretta sorveglianza. Quindi, in assenza di complicazioni, i controlli divengono progressivamente meno frequenti prima ogni due settimane, quindi circa mensili fino al termine del primo anno post-trapianto.
GVL/GVT
Nell’ambito del trapianto allogenico, si osserva una reazione di natura immunologica detta graft-versus-leukemia (GVL) o graft-versus-tumor (GVT). Essa è sostenuta dalle cellule immunocompetenti del donatore che vanno a riconoscere come estranee e quindi ad attaccare le cellule leucemiche o tumorali residue del ricevente. Tale reazione è particolarmente importante poiché consente di superare il limite della resistenza alla chemioterapia e alla radioterapia delle cellule leucemiche o tumorali, che diventano in questo caso cellule bersaglio di reazione immunomediata. Il sistema immune del donatore, in altri termini, contribuisce alle possibilità di guarigione del paziente esercitando una sorveglianza immunologica nel tempo nei confronti della malattia tumorale. La GVL rende quindi il trapianto allogenico una forma molto efficace di immunoterapia.
Fonti e metodica di raccolta delle CSE
Attualmente sono tre le fonti di CSE disponibili:
midollo osseo ematopoietico;
sangue venoso periferico;
sangue cordonale.
RACCOLTA DELLE CSE DAL MIDOLLO OSSEO
Le CSE contenute nel midollo osseo vengono prelevate in anestesia generale o spinale attraverso ago-aspirati multipli di sangue midollare dalle creste iliache posteriori (espianto di midollo osseo). Per un paziente di 75 kg vengono prelevati circa 1,5 l di sangue midollare. Il sangue midollare prelevato viene filtrato per eliminare grasso e spicole ossee e, nella stessa giornata del prelievo o il giorno dopo in caso di donatori di altri stati, infuso al paziente per via endovenosa. La mediana di cellule nucleate totali e di cellule CD34-positive, prelevate con la procedura di espianto midollare e in grado di garantire un attecchimento emopoietico duraturo, sono rispettivamente considerate >2 × 108/kg e >2 × 106/kg di peso del ricevente. Rispetto al prelievo da sangue periferico, il trapianto di midollo osseo contiene una più ridotta quantità di linfociti T. Le complicanze maggiori legate alla procedura di espianto sono rappresentate dal rischio anestesiologico. Complicanze minori sono raramente le microfratture del bacino, più spesso dolore ed ematomi della parte interessata.
RACCOLTA DELLE CSE DAL SANGUE VENOSO PERIFERICO
Sebbene in condizioni basali la quantità di CSE CD34-positive circolanti nel sangue periferico sia molto bassa, a seguito di somministrazione del fattore di crescita G-CSF (granulocyte-colony stimulating factor) si ottiene una elevata mobilizzazione di cellule CD34-positive dal midollo osseo al sangue periferico. Al donatore viene somministrato G-CSF per 3-5 giorni e successivamente viene sottoposto a procedura di staminoaferesi. Tale procedura si avvale dell’utilizzo di una macchina, che, in circolazione extracorporea, è in grado di separare le cellule mononucleate dalla restante parte corpuscolata del sangue, i globuli rossi e le piastrine, che vengono, quindi, restituiti al donatore. La dose raccolta è variabile tra 2 e 8 cellule CD34-positive × 106/kg di peso corporeo del ricevente. L’infusione al paziente viene eseguita entro 24-48 ore. Nella raccolta delle CSE da sangue periferico, la dose di cellule CD34-positive raccolte è molto più elevata rispetto a quella che si raccoglie dal midollo osseo ematopoietico, così come è maggiore la concentrazione di linfociti T. In pratica, ciò si traduce in un attecchimento più rapido e in un maggior rischio di GVHD, soprattutto cronica. Le complicanze più frequenti sono dovute alla somministrazione del fattore di crescita granulocitario nei giorni precedenti l’aferesi (febbricola, mialgia, cefalea) o agli squilibri elettrolitici che si possono determinare durante la procedura stessa con l’insorgenza di parestesie, che sono facilmente correggibili.
RACCOLTA DELLE CSE DA SCO
Il SCO è caratterizzato da un contenuto di cellule staminali emopoietiche simile a quello del midollo osseo adulto, ma con una maggiore proporzione di cellule progenitrici immature dotate di maggiore potenziale proliferativo. Il SCO, inoltre, sembra contenere una popolazione linfocitaria più primitiva e immatura rispetto al sangue periferico, a cui funzionalmente corrisponde una ridotta reattività immunologica dei linfociti T. Il SCO è facile da raccogliere e da criopreservare, senza alcun rischio per la madre e per il neonato; esso viene raccolto al momento del parto incannulando la vena ombelicale e le CSE presenti vengono criopreservate nelle “banche del cordone”. Un limite per l’utilizzo clinico su larga scala del SCO consiste nella bassa dose di cellule nucleate totali e di CSE CD34-positive contenute nelle singole unità, dovute allo scarso volume delle stesse: ciò comporta una ripresa emopoietica più tardiva e un maggior rischio di mancato attecchimento rispetto alle altre fonti di CSE. Tale caratteristica ha inizialmente limitato l’uso del trapianto SCO ai soli pazienti pediatrici. Attualmente, tuttavia, l’applicazione del trapianto SCO nei pazienti adulti ha superato per numerosità quella della popolazione pediatrica. In Italia, comunque, è la fonte di cellule meno utilizzata.
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